di Ambra Sansolini
Introduzione
Ricorre frequentemente una parola, indirizzata alle donne vittime di violenza: “Denunciate!” Invece a rivolgersi più facilmente alle Forze dell’Ordine e all’Autorità Giudiziaria, sono proprio gli uomini che compiono quegli abusi. In fondo è un’azione profondamente infima, vigliacca e subdola fare del male a qualcuno e poi accusare lo stesso di averlo realizzato ai nostri danni. Ma per soggetti disturbati, la cui patologia psichiatrica consiste proprio nel riuscire perfettamente a mantenere inalterata l’immagine sociale e a recitare la parte della vittima, tutto questo è un gioco da ragazzi.
Non è difficile capirne il motivo: si buttano avanti per non cadere indietro.
L’abile recita dell’uomo violento
C’è una costante, presente nelle storie di violenza domestica e/o stalking: quando la donna chiede aiuto ai Carabinieri o alla Polizia, lo fa anche il carnefice. Alcune volte arriva presso la caserma o la questura addirittura prima di colei che ha subìto le vessazioni. Si tratta di un’azione diabolica, che rientra nel piano sadico dell’aguzzino: creare dubbi circa la versione dei fatti, che ha dato o darà agli agenti l’ex compagna o moglie. A questo punto siamo davanti a una coppia, ormai separata o divorziata, i cui ex membri si accusano reciprocamente. Pertanto, diventa più difficile per i Carabinieri e i Poliziotti farsi già un’idea della situazione; i loro dubbi verranno chiaramente trasmessi nella relazione presentata al Pubblico Ministero. Il risultato è che quando la donna, disperata e impaurita, chiede aiuto alle Forze dell’Ordine, non riceve una piena comprensione e i suoi timori vengono sminuiti notevolmente. Per i professionisti in questione viene spontaneo pensare di trovarsi di fronte alla rabbia e al rancore di due ex partner, che stanno vivendo il trauma della fine del rapporto. Questo è proprio lo scopo dell’abusante: ridurre le violenze, da lui compiute, a un quadro di conflittualità tra le parti, dove il confine tra vittima e carnefice si fa labile e cangiante.
Quali sono le accuse inventate dal carnefice?
A questo punto, ci chiediamo su quali basi il carnefice formuli delle accuse verso la donna contro la quale ha compiuto violenza. Le armi preferite da un essere tanto malvagio e vile, prima ancora di un coltello e una pistola, sono proprio i figli. Quest’atroce recita, che avviene davanti agli organi della Giustizia italiana, riguarda quasi sempre casi di violenza domestica in cui vi sia la prole. I bambini diventano così, nello stesso tempo, spada e scudo del padre aguzzino, che vuole portare a termine il disumano piano di distruzione ai danni dell’ex compagna o moglie, senza tuttavia passare da colpevole. Quale modo migliore, per fare male a una creatura femminile che è madre, se non quello di danneggiarla proprio sui figli? E ancora: quale scappatoia più proficua per recitare la parte del padre-vittima, se non quella di mettere in mezzo i figli? Il “punto di forza” di questi individui disturbati è proprio costituito dai minori, ma non perché li amino: sono da loro continuamente usati e visti come oggetti. E quando sei perfettamente consapevole di essere andato fuori il posto di lavoro della tua ex partner ad aggredirla verbalmente e fisicamente, come potresti, attraverso la scusa dei figli, attenuare o in qualche modo giustificare la tua estrema reazione? «Sono andato fuori di testa, perché sono giorni che non vedo i bambini». E il gioco è fatto. Bisognerebbe però fare un passo indietro: e perché sono giorni che il padre non può avvicinarsi ai figli? Ma è una domanda che l’agente delle Forze dell’Ordine non si pone, perché troppo preso a immedesimarsi, grazie a un radicato cameratismo maschile, in quanto dichiarato dal querelante.
Ricordiamo che davanti al carnefice-attore c’è un altro uomo in divisa, magari separato o divorziato anche lui. Non è difficile immaginare quanto possa sentire vicine a sé quelle dichiarazioni. Impietosire gli esperti con la scusa dei figli è il cavallo di battaglia degli uomini violenti. Che valore avrà dunque l’esposizione dei fatti da parte della donna?
La solitudine della donna
Dall’altra parte c’è invece una donna che insiste sulla pericolosità del suo ex. Ma gli episodi, da questa descritti, sono gli effetti di una separazione complicata e turbata. Il Carabiniere o il Poliziotto che l’ascolta, è quindi portato a pensare in questo modo: “ Sta esagerando. Quei due si fanno le ripicche a vicenda. È una guerra genitoriale in cui le uniche vittime sono i figli”. Ma come nasce una guerra? In ogni conflitto c’è sempre qualcuno che attacca e un altro, costretto a difendersi. Non bisogna essere in due per arrivare allo scontro, basta che solo uno lo voglia e l’altro, a meno che non intenda farsi schiacciare come un pidocchio, è obbligato a replicare. I narcisisti perversi e gli psicopatici leggono la vita nell’ottica del potere, ma sono abili a creare punti di attrito, scaricando la colpa sull’altra persona e fingendo di venire con la bandiera bianca in mano. In verità, l’unica bandiera che vedono è quella a scacchi, riconducibile alla vittoria. Possono chiaramente affermare che non ci saranno né vinti né vincitori, ma solo perché si sentono di avere vinto. Cosa? Il loro trionfo coincide con la distruzione dell’ex compagna o moglie. Questo diventa assai facile grazie ai pregiudizi comuni e agli schemi sociali, per cui se due litigano, la colpa è di entrambi. Sono perfettamente consapevoli dei pensieri della gente, delle lacune della nostra Magistratura e si muovono, strisciando proprio attraverso questi buchi neri.
Prima di provare pietà per un padre che non riesce a vedere i suoi bambini, ci vogliamo chiedere perché quelle creature abbiano paura d’incontrarlo? Vogliamo domandarci perché l’ex compagna
lo definisca violento e pericoloso? Il soggetto patologico è convinto che i suoi comportamenti aggressivi siano semplicemente la giusta punizione da infliggere a colei che ha osato lasciarlo. La fase successiva consiste nel convincere gli altri di questa cosa: ecco allora che ha inizio la recita di fronte alle Forze dell’Ordine e la manipolazione mentale, attraverso la quale si scambia la causa per l’effetto. L’aguzzino fa passare per vero che le sue reazioni violente siano la conseguenza del fatto che gli è vietato vedere i figli. La verità è invece che i figli non vogliono vederlo, perché egli ha compiuto violenza sulla madre anche in loro presenza e ormai hanno paura del padre.
Se è già difficile per una vittima raccontare alcuni abusi davanti a sconosciuti in divisa, lo è ancora di più quando non si sente completamente capita e viene colpevolizzata. Sminuire le vessazioni subite, inquadrandole in un contesto di tensione familiare, significa fare violenza sulla violenza.
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Conclusioni
Alla luce di quanto analizzato, si deduce chiaramente che per mettere fine alla violenza sulle donne è necessario preparare adeguatamente i professionisti dei vari campi. Tutti gli agenti delle Forze dell’Ordine devono essere informati circa il disturbo di cui sono affetti i carnefici: bisogna offrire loro i mezzi per non lasciarsi raggirare dalle abili manipolazioni di questi uomini. Si tratta di un cambiamento culturale, perché purtroppo ancora regna il pregiudizio per cui la divisione della famiglia sia colpa della donna. Non è più possibile, a fronte dei ricorrenti femminicidi, pensare che la tragedia si sarebbe potuta evitare, se l’ex compagna fosse stata più comprensiva verso di lui o non avesse fatto questo o quello. Non possiamo ancora nasconderci dietro a scuse quali “ha fatto un esposto, ma non una denuncia”. Perché, se avesse fatto una denuncia, cosa sarebbe cambiato? Volete farci credere che dopo cinque mesi, l’imputato oggetto della denuncia, sarebbe stato già processato e condannato? Deve finire il pensiero corrente secondo cui una donna che ha subìto violenza, sia obbligata a incontrare l’ex partner per fargli vedere i figli. Occorre mettersi nei panni dei bambini, vittime di violenza assistita. Secondo il modello sociale dominante, solo l’uomo esce sconfitto da un fallimento familiare. Sembra quasi che la donna si diverta a crescere i figli da sola, a separarsi o divorziare, affrontando il peso morale ed economico dell’iter legale. Ci portiamo ancora dietro il pregiudizio dei matrimoni d’interesse, quando fare la moglie era una professione, splendidamente retribuita anche dopo il divorzio. Ora è tutto cambiato, anche sul piano dei diritti dell’ex coniuge. Ce ne sono stati di casi in cui gli uomini hanno vissuto sull’orlo della povertà per agevolare l’ex moglie e i figli. Ma ormai la donna, anche a livello legislativo, viene considerata un soggetto autonomo capace di autodeterminarsi. Finiamola quindi con il vittimismo dei padri separati o divorziati, perché finché continueremo a dare peso a queste abili e pietose recite, non ascolteremo mai del tutto il grido di aiuto delle donne vittime di violenza.
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