di Ambra Sansolini
Introduzione
Proseguiamo con il racconto di Agnese, la protagonista del romanzo “Su ali di farfalla” per mettere in risalto l’operato della Magistratura italiana. Molte volte abbiamo sentito dire che nel nostro Paese non esiste giustizia, ma la cosa ancora peggiore è che la Legge non è uguale per tutti. Non calza bene neppure la scusa che i tribunali sono sovraccaricati di lavoro, perché sembra che nonostante ciò alcune denunce abbiano la corsia preferenziale. Non stupitevi: archiviano denunce per maltrattamenti in famiglia in famiglia e/o stalking, ma sono capaci di impiegare le poche risorse a disposizione per approfondire casi che meriterebbero un posto nei talk show televisivi o nei reality per fare un po’ di audience.
Ciao Agnese, se sei pronta riprendiamo…
Ciao, va bene. Partiamo.
Oggi analizziamo, attraverso la tua esperienza, il modo di procedere della nostra Magistratura. Prima di cominciare però facciamo un passo indietro: che idea avevi della Giustizia italiana , prima di conoscerla da vicino?
Penso di essere una “giustiziera” per natura. Magari la mia idea di giustizia poteva essere un’utopia, però quella reale è davvero troppo distante da ciò che dovrebbe garantire ai cittadini.
Perché ti definisci una “giustiziera”?
Mi hanno sempre infastidito i soprusi e le vessazioni ai danni dei più deboli. Fin da piccolina ho provato ribrezzo e nausea verso chi prendesse in giro un/una bambino/a. Ogni volta che mettevano in mezzo qualcuno che non sapeva difendersi, mi immedesimavo e prendevo le sue parti.
Fai riferimento a un episodio preciso? Se sì, ti va di raccontarcelo?
Certamente. Quando frequentavo la scuola elementare, come accade in tutte le classi, c’era il ragazzino più agitato, dispettoso, quello che non lasciava scampo né ai compagni né alle maestre. Ma non era la sua irrequietezza a infastidirmi, quanto invece il suo fare da bullo quando si sfogava contro qualcuno. Un giorno accadde che torturò per l’intera mattinata me e un’altra bambina. Ricordo che chiesi più volte aiuto alla maestra, ma il bambino-tornado non intendeva smettere. Il pomeriggio c’erano i colloqui con gli insegnanti e io avevo accompagnato mia madre. Ad alterare l’atmosfera di quei momenti c’era sempre lui, piazzato nell’androne a fare dispetti a tutti. Non ricordo precisamente quale fu l’elemento scatenante, ma è cosa certa che io fossi già esasperata dai suoi prepotenti comportamenti. A un certo punto lo presi prima per un braccio, poi per l’altro e lo feci girare attorno a me, a 360° come fa una girandola. Senza procurargli alcun danno, era un modo per fargli capire che i ruoli potevano ribaltarsi in qualsiasi momento: in fondo quello che facciamo agli altri ci torna indietro amplificato.
Lasciamo la tua infanzia e scendiamo dall’altalena della memoria a lungo termine per sondare invece il terreno del tuo passato più vicino. Quando hai iniziato a nutrire dei dubbi verso la Giustizia italiana?
Dopo il lungo periodo durante il quale hanno trascinato una denuncia per maltrattamenti in famiglia. Uno Stato che non fa giustizia subito è perché non vuole farla.
Qual è stato invece il momento in cui hai capito perfettamente come funzionasse la triste realtà dei tribunali?
Sicuramente quello riguardante le cinque denunce per stalking.
Relativamente a questa brutta esperienza, anche nel libro abbiamo parlato di una forma di mobbing intrecciata allo stalking…
A parte i pedinamenti fisici che subivo da parte degli amici del mio ex, ero divenuta il bersaglio di una persecuzione di gruppo.
E chi faceva parte di questo gruppo?
C’erano persone che neppure conoscevo. Mai saputo della loro esistenza.
Com’è possibile che perfetti sconosciuti se la prendano con una persona a caso?
Era stato il mio ex compagno ad accendere il fuoco. Si era persino insinuato come un serpente nell’ambiente lavorativo in cui mi trovavo.
E cos’è successo?
Non è raro che gli uomini violenti si servano anche di “complici” per portare a termine la distruzione della donna che si sono prefissati.
E dove li trovano questi complici? Come riescono a farlo?
Di solito vengono scelti mediante uno scambio di favori. Oppure pur di trovare alleati danno vita ad accuse calunniose contro l’ex, in modo da giocare poi sulle emozioni negative di rabbia e odio, suscitate negli altri. Insomma, li manipolano. Il loro “stile” di vita è sempre quello: provocano, scatenano emozioni dilanianti nelle persone e da lì vanno avanti. Altre volte comprano i complici con i soldi oppure vendendo sessualmente il loro corpo. Vanno ben oltre ciò che è umanamente pensabile…
In che modo questo gruppo ti stringeva nella morsa?
Attraverso continue diffamazione, avvenute sia in contesti in cui ero presente che sul web.
Cosa hai pensato quando hai scoperto di essere bersagliata così?
Non capivo. Mi sentivo disorientata, persa. Continuavo a chiedere come fosse possibile e soprattutto m’interrogavo sull’identità del soggetto che voleva così cinicamente la mia distruzione.
E chi ti è venuto in mente per primo?
Leonardo, il mio ex.
Il tuo ex compagno aveva dei legami con quell’ambiente. Come hai avuto la certezza che fosse lui?
No, Leonardo non credo avesse da prima legami con quell’ambiente. Era l’intero quadro di persecuzione a portarmi a lui. Arrivavano a casa anche lettere anonime, provenienti caso strano dalla nazione di origine della sua partner. Poi avevo delle prove che dimostravano i contatti tra lui e alcuni “membri” del settore. Ho scoperto numeri di telefono che mediante una stupida tecnica di deviazione di chiamata, risultavano inesistenti ma erano attivi. Comunicavano attraverso queste SIM.
Riassumiamo il tutto: eri seguita fisicamente dagli amici di Leonardo. Parimenti ricevevi lettere anonime a casa e venivi diffamata sul lavoro e sul web. Giusto?
Esatto.
Insomma, una forma di stalking sui generis, nel quale gli atti persecutori del soggetto patologico si sommano a quelli di un folto gruppo, che diventa suo complice. Come avevi capito che erano molteplici individui?
Ogni volta le diffamazioni che subivo, avvenivano da una persona diversa e una di queste, per intimorirmi scrisse chiaramente che erano molti e io invece ero da sola…
Naturalmente hai sporto varie denunce: che esito hanno avuto?
Nulla. Tutte archiviate. Se è per questo ho scritto anche al Ministro di Grazia e Giustizia. Ho scritto ad alcuni deputati di un partito che ora sembra avere voce in capitolo nel governo. Ma nulla: non ho ricevuto alcun tipo di aiuto né dalla Magistratura né dalla Politica, tranne che da un dipartimento appositamente creato per la tutela delle vittime.
Sei mai riuscita a individuare tutti i partecipanti al losco e disumano piano?
Tutti. Conosco i loro nomi uno ad uno e anche i loro volti.
Cosa hai pensato volessero farti?
Ero certa che volessero farmi sparire dalla terra. Volevano cancellare la mia identità femminile, religiosa e professionale. Ho pensato che fossero capaci di tutto. Poiché ero anche pedinata fisicamente, portavo sempre uno spray al peperoncino in tasca e mi tenevo pronta per difendermi in ogni modo da qualsiasi tipo di aggressione.
Insomma, non hai pensato “a quel punto non arriverebbero mai…”
Proprio così. Le vittime devono iniziare a prendere consapevolezza che chi compie certe violenze è capace di tutto, anche di uccidere.
Credi che non abbassare la guardia possa evitare il peggio?
Certamente influisce sull’epilogo finale. Una vittima che non indietreggia, ma si prepara alla difesa, sta lanciando un preciso messaggio anche al carnefice. I soggetti che si fanno autori di questi crimini sono molto vigliacchi.
Passiamo all’episodio-beffa, quello davvero incredibile. È vero che alla fine sei stata tu a difenderti da un’accusa di diffamazione?
Esattamente. Poiché questo gruppo di persone (le chiamiamo così per evitare termini che andrebbero censurati e non le definiremo mai bestie, perché le bestie si offenderebbero) continuava a mettermi all’angolo, a schiacciarmi in ogni modo, l’unico modo che avevo di gridare il mio dolore e anche aiuto era attraverso i social. Venni incriminata proprio per un post, che scrissi a seguito di tutte le archiviazioni alle denunce e per tentare di dare voce al mio grido di disperazione, mai ascoltato dalle Istituzioni. Naturalmente il post non riportava nulla di così sconvolgente, ma si trattava di un contenuto dalla banalità tale che al massimo avrebbe occupato spazio in un reality o in un talk show, giusto perché al pubblico piace vedere la gente litigare. Ma nessun tribunale al mondo si sarebbe incaricato di approfondire una baggianata simile rispetto a tutte le cose serie di cui dovrebbe occuparsi.
Facci capire bene: non solo venivi totalmente ignorata e abbandonata dalle Istituzioni, ma paradossalmente diventavi tu il carnefice, il soggetto indagato?
Proprio così. Ero diventata carnefice, perché mi stavo difendendo con le unghie e con i denti. Ero diventata carnefice semplicemente perché non lasciavo che qualcuno mi cancellasse dalla faccia della terra. In Italia per essere vittima devi subire tutto e in silenzio e non basta in ogni caso per avere Giustizia. Ma se poco poco quella vittima prova ad alzare la testa, allora il sistema farà pagare a lei tutto ciò che dovrebbe pagare l’aguzzino vero.
Vuoi dire che in Italia esiste il culto della vittima?
Proprio così. Ed è questa errata e malevola ideologia a portare alla tomba la maggior parte delle donne che subiscono violenza. È come se venissimo etichettate come vittime e per continuare a portare questo nome, dovessimo essere sempre pronte a subire tutto. Abbiamo visto come molti bersagli delle persecuzioni di gruppo siano stati costretti a uccidersi. L’unica azione non passiva che può compiere la vittima in Italia, è quella di suicidarsi. E invece non deve essere così.
Il messaggio che stai lanciando alle “vittime” è forte e ci auguriamo possano seguirlo. Possiamo chiederti com’è finita questa vicenda?
Avevo preparato la difesa cruenta e irremovibile. Avevo ogni tipo di prova che servisse a inchiodarli tutti. Ero pronta a usare la calunniosa accusa con la quale mi trascinavano in tribunale, per far venire fuori tutte le loro vessazioni. Si trattava di soprusi che erano andati avanti da più di due anni. Nel raccogliere le prove, avevo esaurito lo spazio delle chiavette USB, del PC e dello smart phone. Vi dico solo questo. Avevo ciò che loro non avrebbero pensato mai potessi avere. Oppure sì, l’hanno sospettato, perché in effetti non hanno voluto andare avanti nel processo. Paura? Chissà…se avessi scoperchiato quel tombino, la melma non avrebbe smesso di uscire.
Grazie Agnese e a presto.
Grazie a voi. Sempre dalla parte di chi subisce violenza.
Conclusioni
Ringraziamo Agnese per i dettagli che ci ha forniti, per la sua chiara e pronta testimonianza. Se i tribunali sono carichi di lavoro, perché approfondiscono casi da reality e talk show, a discapito di denunce per maltrattamenti e stalking? Come mai si danno ascolto alle paturnie dell’ultimo arrivato e non alle reali paure di una donna, che definisce il suo ex pericoloso (ovvero antisociale)?
Dove sono i nostri Politici, quelli che si fanno belli per le elezioni e si litigano la poltrona, quando una vittima disperata gli chiede aiuto? Cosa fanno concretamente le Istituzioni per coloro che subiscono violenza? E soprattutto i Magistrati operano in questo modo per vera mancanza di discernimento oppure c’è dell’altro? Non riescono forse a capire quali siano i casi gravi che necessitano dell’intervento di un tribunale da sceneggiate adatte a reality show?
Nell’intervista abbiamo analizzato anche la persecuzione di gruppo e sul web. Quante persone si sono uccise, perché non sono riuscite a reggere il peso del fango che gli era stato gettato addosso? Quale senso d’impotenza prova chi viene fatto bersaglio di questi attacchi da sciacalli, quando chiede aiuto alla Giustizia e non riceve alcun tipo di sostegno e/o difesa?
Perché il sistema malato deve manipolare le vittime e convincerle di essere tali anche a costo di rimetterci la vita? Mettiamo in evidenza che nel piano delittuoso ai danni di Agnese rientravano anche alcune donne. Pertanto sottolineiamo ancora una volta che la violenza non ha sesso, età, razza o ceto sociale. Il nostro sito parla prettamente della violenza sulle donne, ma non vuole assolutamente creare distanza tra i due sessi o dipingere gli uomini come mostri. Il femminicidio avviene per lo più a causa di mani maschili, ma capita che siano altre donne a compiere violenza contro una loro “sorella”. Finirà ogni tipo di sopruso solamente quando l’essere vittime diventerà uno stato transitorio in cui alcune persone sono gettate da altre violente e non sarà più un’etichetta, per la quale bisogna restare passivamente ad aspettare la propria morte.
Per sapere di più sulla storia di violenza vissuta da Agnese, leggi il romanzo “Su ali di farfalla”