di Ambra Sansolini
Per te ho allontanato le persone che mi volevano bene, mi sono sforzata di essere quella che non ero. Per fare sorridere te, ho rinunciato al mio sorriso; per fare dormire profondamente te, non ho dormito. Eppure non ti andava mai bene. Per te ho provato a invecchiare prima, in modo che fossimo tutt’uno anche sotto l’aspetto anagrafico. Per te mi facevo bella, ma non te ne accorgevi mai.
Quando mi svegliavo la mattina, la giornata che stava iniziando, mi appariva come un macigno da portare sulle spalle: in fondo avrei solo voluto chiudere gli occhi e continuare a dormire, ma non ero padrona più neppure del mio sonno, perché ti eri preso anche quello.
Se volevo sentirti al telefono, evitavo di farlo, perché tu volevi così. Se avevo bisogno di aiuto, sapevo che non avrei mai potuto contare su di te. Alla fine non ti dicevo neppure più come mi sentivo dentro, perché anziché tentare di capirmi, mi avevi solo sadicamente compatita. Se mi veniva in mente di fare una cosa bella insieme, uccidevo a priori quell’idea, perché saresti riuscito a mandare a monte tutto ciò che non veniva da una tua proposta. Ho vissuto nell’incertezza più totale, senza progetti né a breve né a lungo termine. Quando provavo un briciolo di gioia per una cosa bella che stavamo vivendo, ecco che puntualmente dovevi rovinare tutto, come per ricordarmi che accanto a te non si può essere serene. E allora piombavo ancora nelle tenebre più nere, là dove sei il re e riesci a muoverti tanto bene. Mi hai indotta a chiedere scusa anche per ciò che non facevo, perché in fondo a un sovrano le scuse si devono a priori. Sei riuscito a farmi odiare persino quello che amavo, hai rubato le mie passioni e i sogni, facendomi credere che fossi incapace di coltivarli e portarli avanti. Vivevo attaccata alla speranza che il domani sarebbe stato migliore, ma tu trasformavi i giorni in un’eternità infernale, senza ritmo o cadenza alcuna.
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La tua casa sembrava il castello di Dracula, un luogo tetro dove regnava il silenzio e l’angoscia. Avevo cercato di rianimare quell’ambiente, ma era come colorare la tavola nera di un pittore funesto: denigravi tutto ciò che ci mettevo dentro con la scusa che alterasse il tuo ordine meticoloso. In verità non accettavi tutto ciò che rompeva la tua malata idea di “perfezione” narcisistica: quello che percepivi come ordinato e perfetto era solamente l’antitesi della vita. Ma allora sei riuscito a farmi sentire sbagliata e a convincermi che una casa doveva somigliare a una fredda e sterile sala operatoria. C’è una leggenda secondo la quale per scacciare i vampiri bisogna munirsi di aglio: l’antiparassitario che disintegra la tua maschera di sabbia è l’energia vitale. Come stai, Dracula, al solo pensiero che la vita è disordine, continuo fluire e caos? Come ti senti quando qualcuno sfugge dai confini dell’immobilità in cui lo avevi relegato? “Eppur si muove” ed è scappato dalla tua smania ossessiva di controllo.
Per te ho litigato con chi avrei solo dovuto ringraziare, per te ho mandato via chi inutilmente tentava di aprirmi gli occhi. Avevo solo un input da seguire e questo eri tu. Ero diventata una specie di automa, un robot come te, con la differenza che io continuavo ad avere emozioni e pertanto soffrivo smisuratamente nel percepirmi in quel modo. A un certo punto ho iniziato a pensare di essere un mostro: avevi cancellato addirittura la memoria del mio passato. Mi sembrava di essere stata sempre un mostro, non avevo più ricordi di come potessi essere prima di incontrarti. Questo significa uccidere una persona: vivevo ormai nell’eternità della morte.
Oggi so per certo che quel mostro sei solo tu. Oggi mi sono riappropriata di quello che ero, perché almeno in parte, lo sono ancora. Poiché ho perso tutto, mi sono ritrovata e ho scoperto pezzi di me, che senza attraversare il tuo nulla, non avrei mai scorto. E mai come adesso la vita mi pare tanto bella!