di Ambra Sansolini
Introduzione
La violenza sulle donne ha alla base anche fattori socio-culturali. Quasi tutte le storie vedono come vittime persone per bene. È un caso oppure c’è un motivo preciso? I carnefici scelgono le loro prede, non gli capitano. Invece a queste ultime accade d’incontrare il loro aguzzino. Un incastro pericoloso, che può portare al tragico epilogo finale. Cosa accade perché si realizzi l’aggancio? Come fanno due persone completamente diverse a innamorarsi e a fare progetti di vita insieme?
La luna e il sole
Il profilo dell’uomo maltrattante ci parla spesso di un soggetto instabile, che conduce una vita spericolata tra alcol e droghe oppure all’inverso disegna i tratti di una persona insospettabile, ma pur sempre affetta da varie manie e compulsioni. Dall’altra parte invece troviamo una donna solare, educata, inserita in un contesto sociale. La ragazza brava a scuola, che conduce una vita sana e semplice. Una creatura femminile che sogna una quotidianità normale. Due esseri opposti e contrari, che a un certo punto uniscono le loro strade. La luna, che gravita nelle tenebre e nell’oscuro e il sole, che fa brillare tutto ciò che illumina, anche di luce riflessa. D’un tratto si crea un pezzo di cielo riservato alla presenza di entrambe. Le storie di violenza sembrano riportarci al teorema per cui poli opposti si attraggono. Non vogliamo assolutamente presentare la diversità come qualcosa di negativo, poiché è il principale elemento di arricchimento umano. Ma perché si costituiscano le basi di una solida relazione, devono pur starci delle affinità e dei tratti in comune. Allora, cosa attrae due persone così lontane nello stile di vita? Perché la vittima non si rende conto degli squilibri del compagno o marito?
La giudiziosa o la ribelle?
Nella rete della violenza non cadono solo le donne che mettono al primo posto l’amore, ma anche quelle che collocano al centro della loro vita altri elementi. A un certo punto, che si tratti della creatura femminile alla ricerca del principe azzurro o meno, arriva qualcuno che le ricorda dell’amore. A prescindere dal ceto sociale, dalla professione e dall’età, il bisogno di sentirsi amate sembra accomunare tutte. E certamente non è un peccato né una debolezza, ma diventa il cavallo di battaglia dei carnefici. Soprattutto quando vi sono condizioni di sofferenza, solitudine e altre difficoltà anche pratiche, la necessità di avere un uomo accanto si fa implacabile. Per evitare d’incappare in relazioni pericolose, non bisogna frenare l’istinto che conduce all’amore, ma dobbiamo sempre ricordarci di amare noi stesse. Molto spesso si tratta di donne cresciute fin da bambine con l’idea che essere giudiziose le renda meritevoli di affetto e rispetto: nulla di più appetibile per i predatori sociali. Iniziamo invece a innalzare la figura femminile ribelle, nel senso positivo del termine. Non temiamo di crescere bambine che sappiano dire no. Anche la religione cattolica ci inculca il concetto di disobbedienza come qualcosa di negativo: proviamo invece a vederla nel suo lato di luce, come una forma di coraggio e intelligenza.
Quando ribellarsi significa vivere nell’autenticità
Ribellarsi, nel significato etimologico del termine, proviene dal latino re e bellare, traducibile letteralmente con la frase “rinnovare la guerra”. Lo scrittore e attore di teatro Alessandro Bergonzoni, ha dato una lettura positiva a questo verbo, quindi inteso come “tornare al Bello delle cose”, considerando la Bellezza a livello platonico: qualcosa che ci rende migliori.
Il nodo cruciale è che la ribellione è sempre stata vista come qualcosa da osteggiare, soprattutto se legata a figure femminili. L’eroe maschile che si ribella e insorge non è mai stato “bacchettato” o messo all’angolo quanto una donna disobbediente. Basti ricordare l’epoca medievale della caccia alle streghe: donne che si occupavano della salute, che studiavano le scienze e facevano da guida alla comunità. Erano considerate streghe quelle che usavano la testa, che non erano sposate e mettevano in pratica una loro abilità. La più conosciuta tra queste è senz’altro Giovanna d’Arco, che salvò la Francia dall’invasione nemica, comandando l’esercito; venne accusata di stregoneria e quindi bruciata viva, perché indossava i pantaloni e cavalcava come un uomo.
Al giorno d’oggi le donne che pensano con la loro testa e si ribellano non vengono messe sul rogo, ma continuano a essere viste come persone negative e portatrici di problemi. Per mettere fine alla violenza domestica, dobbiamo abbandonare questi pregiudizi arcaici e retrogradi, diffondendo l’idea della donna fiera e ribelle, capace di decidere e pensare con il proprio cervello.
Leggi un articolo sulla caccia alle streghe nell’epoca medievale
Il carnefice e la preda
Il termine stalking deriva proprio dal lessico attinente alla sfera animale e in particolar modo alla caccia: “to stalk” significa infatti acquattarsi, camminare furtivamente. Sia i maltrattamenti in famiglia che gli atti persecutori vedono sulla loro scena un carnefice e una preda. Il primo è il soggetto instabile di cui abbiamo parlato sopra, la seconda una creatura totalmente opposta.
L’abusante sceglie e studia la donna con la quale stringere la relazione, questa invece segue il cuore. Mentre ella s’innamora e perde dunque ogni corazza, dall’altra parte c’è un uomo che cinicamente agogna di conoscerne le fragilità. Tutte le vittime hanno notato qualcosa di profondamente ambiguo nel marito o compagno, ma non hanno dato ascolto a quelle percezioni, continuando a vivere il rapporto. C’è un limite oltre il quale scappare al proprio aguzzino diventa davvero complicato: è il varco della violenza psicologica. Una volta compiuto questo tipo di vessazione, la preda è inerme nelle mani di chi vuole distruggerla.
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Conclusioni
Dalle testimonianze emerge che gli uomini violenti non sceglieranno mai delle vittime simili a loro. Preferiscono quelle cresciute secondo la mentalità della “brava bambina”, giudiziose e attaccate a questa figura. Sono certi che per evitare di passare da cattive o poco di buono, sopporteranno ogni sopruso. Anche quando la donna si accorge che qualcosa non va, prosegue nella storia senza dare ascolto all’istinto. Nel momento in cui subentra la violenza psicologica, il tunnel si fa ancora più stretto e buio. Ci sono casi in cui le vittime, pur avendo ascoltato le proprie sensazioni ed essendo dunque riuscite a lasciare il carnefice subito dopo l’inizio del rapporto, non ce l’hanno fatta a scappare al loro atroce destino. Come se l’aguzzino, una volta scelta la preda nella fase della conoscenza, le metta un sigillo addosso e la consideri sua. Tuttavia resta sempre di fondamentale importanza chiudere la relazione il prima possibile.
Occorre controllare il bisogno di essere amate, imparando ad amarsi. È necessario inquadrare in una nuova ottica la ribellione femminile, liberandoci dalla patriarcale e cattolica idea secondo la quale essa coincida con il peccato. Come recita una celebre canzone di Ermal Meta «ricorda di disobbedire, perché è vietato morire». Se per conservare intatta la figura della “bambina giudiziosa” dobbiamo subire fino alla morte, forse è giunto il momento di tornare a essere streghe…