Lupi travestiti da agnelli

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Lupi travestiti da agnelli, che si esibiscono davanti a una platea. Stiamo parlando di chi sfrutta la delicata e seria causa della violenza sulle donne, come vetrina per la propria immagine e professione, cavalcando l’onda del momento. Sono in molti ormai quelli che si siedono dietro la cattedra e fanno didattica, dall’alto di un piedistallo parlano freddamente di vessazioni che in fondo non li riguarderebbero mai. Ma la violenza sulle donne non è una materia scolastica, né pura teoria. C’è in ballo la sofferenza umana e la vita di molte persone. Verrebbe spontaneo pensare che dove si combattano abusi e ingiustizie, ci sia lealtà, coraggio e soprattutto verità. E invece i lupi esistono anche lì, camuffati nella loro veste migliore, quella più facilmente venduta. Affamati di meriti morali e umani, si cibano del sangue e delle lacrime delle vittime, per ricevere applausi e complimenti. Quale modo migliore in effetti, per aumentare prestigio e notorietà, se non quello di mostrarsi come paladini di una causa sociale tanto importante?

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Oltre la violenza: quel doppio ricatto sui figli

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

C’è una minaccia ricorrente, fatta dall’uomo maltrattante verso la donna: è quella di toglierle i figli. Se chiediamo alle vittime di violenza domestica, che hanno minori in comune con l’aguzzino, tutte potrebbero confermarci la frase: «Se te ne vai, ti faccio levare i figli». Di solito a questa, si accompagnano quasi sempre altri ricatti di tipo economico. Qualora la donna non abbia un lavoro, viene minacciata di essere lasciata senza il necessario per vivere; se invece svolge una professione, allora il carnefice intimorisce dicendo che la farà licenziare e perderà tutto. A causa di queste intimidazioni, molto spesso la vittima, impaurita, non denuncia. Cosa ancora peggiore, se trova il coraggio di farlo, quelle minacce troppo spesso diventano la realtà con la quale sarà costretta a combattere. Tutto ciò avviene grazie a uno Stato complice dell’abusante e incapace di difendere chi subisce violenza.

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La violenza sulla violenza: le Assistenti sociali

Riprendiamo l’intervista a “Maria”. Attraverso il suo racconto, capiremo nella realtà, con quali figure “professionali” sia costretta a rapportarsi una donna che decide di denunciare le violenze domestiche, qualora abbia figli in comune con il carnefice. L’ex compagno di Maria, verrà chiamato R.

Maria, eravamo arrivate al punto delle Assistenti Sociali. Che impressione avesti di loro?

«La prima volta che entrai in quel reparto della Asl, ebbi l’impressione di aver varcato la soglia dell’inferno. Il primo impatto non fu affatto positivo. Si respirava un’aria di tacita sofferenza. Capii subito che mi ero andata ad affossare in un pantano…»

Come ti accolsero?

«C’era una Dottoressa, spettava a lei seguire il nostro “caso”. Io ero in sala d’attesa con mia figlia. Naturalmente appena uscì dalla sua stanza, ci sorrise e con quell’aria falsamente amorevole disse: “Sei tu la piccola Valentina, vero?” La bambina non rispose: a due anni ancora parlava poco e poi credo fosse anche agitata»

Ebbe così inizo il colloquio. Ce lo descrivi brevemente?

«Come prima cosa mise la bambina a giocare da una parte e fece una serie di domande sulla mia vita».

Domande di che tipo?

«Doveva avere ogni informazione su di me, per iniziare a sviluppare un profilo completo della figura materna. Mi chiese se lavorassi, dove, da chi fosse composta la mia famiglia, quale fosse la professione dei miei genitori etc. Poi una serie di domande invece furono rivolte al rapporto con il mio ex compagno».

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La violenza sulla violenza: contro un sistema

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Abbiamo raccolto la testimonianza di una donna vittima di violenza domestica e stalking. Ci siamo soffermati sulla sua personale esperienza della denuncia-querela. In TV e in ogni dove, viene continuamente detto alle donne di denunciare, ma nessuno spiega loro cosa realmente troveranno dal momento in cui busseranno alla Caserma dei Carabinieri o alla Questura della Polizia. Per questo motivo, attraverso i recenti ricordi di chi ci è passata, vogliamo fare uno zoom su una situazione reale e drammatica, più della violenza stessa.

La donna da noi ascoltata, per motivi di privacy, verrà chiamata con un nome di fantasia, cioè Maria. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistite, è puramente casuale.

Maria ci ha accolti con il sorriso proprio di chi ne ha vissute tante, uno di quelli che farebbero uscire il sole anche nelle giornate buie e uggiose, tipiche del mese di Dicembre. Non ci vuole molto perché si apra completamente e il suo dolore trovi espressione in parole indelebili, come i segni lasciati dalla violenza.

Ciao Maria, quando sei pronta, iniziamo…

Sorride (n.d.r.) e aggiunge: «Credo di essere nata pronta».

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Come oggetti

di Umberta Di Stefano

Usi gli oggetti non le persone
Queste puoi amarle o meno.
Quando permetti d’essere usato
come un oggetto,
la tua anima si spegne man mano…
Dai il consenso agli altri
di giocare con i tuoi sentimenti
che cadono in un abisso senza fondo.
Ti senti futile come essere umano
e ciò comporta
non darti più un valore…

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Perché esiste la violenza?

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Abbiamo intervistato un giovane talento della musica, Mario Bragaglia. Questo ragazzo ha 23 anni, viene da Ceccano, in provincia di Frosinone e nella sua canzone tratta il tema della violenza. Ha un fare cordiale e solare, la grinta e la determinazione tipiche di un sognatore…

Ciao Mario. Come hai iniziato il tuo percorso nella musica? 

«Bentrovati, è un piacere per me. Fin da bambino giocavo a fare il cantante. All’età di otto anni, immaginavo di avere un pubblico davanti a me, prendevo in mano un qualsiasi oggetto e cantavo. Poi crescendo, ho continuato a coltivare questa mia passione: la giusta medicina che mi rende più forte.»

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Il respiro del cielo

 

di Umberta Di Stefano

 

Siamo girandole

che assaporano le carezze del vento,

da esso

ci lasciamo inondare e sconvolgere,

ma c’infastidisce

perché senza di lui noi saremo mortali,

statici, senza audacia….vendute dai mercenari

restiamo fedelmente attratte

soltanto

dal respiro del cielo

che non ci lascia mai sole. Siamo figli

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Psicopatia: sanità mentale o follia?

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Molto spesso, quando l’uomo che ha commesso l’omicidio della donna o altre violenze a danno della stessa, viene condannato, inizia da parte della difesa la finzione circa una presunta malattia mentale dell’assistito. Tutto ciò al fine di ottenere uno sconto di pena o addirittura l’impunibilità del reo. Ci sono casi in cui, è addirittura la parte lesa ad essere accusata di aver cagionato l’infermità mentale dell’abusante. E allora viene da chiederci: può essere folle, un soggetto che premedita e attua cinicamente la distruzione di una persona? Gode pienamente della salute mentale, un uomo ossessionato dall’idea di annientare l’ex compagna?

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“Kill Bill”: quando la vera vendetta è guardarsi dentro

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

“Kill Bill 1” e “Kill Bill 2”, sono rispettivamente la prima e la seconda parte del film del 2003, scritto e diretto da Quentin Tarantino. L’attrice principale è Uma Thurman. Certamente si tratta di una pellicola in cui le scene di sangue non mancano, fedelmente allo stile del regista statunitense. Eppure la violenza passa in secondo piano, nonostante le teste mozzate, gli occhi cavati dal bulbo oculare e altre azioni raccapriccianti. Ciò che invece desta l’attenzione del pubblico è la ferrea volontà della protagonista, il cui nome nascosto tramite un “bip”, verrà svelato solamente nel secondo volume: Beatrix Kiddo. Il film narra della vendetta di una donna, che l’ex fidanzato aveva tentato di uccidere. Questa, dopo aver lottato tra la vita e la morte, tornerà dal suo aguzzino e da tutti i suoi collaboratori, per attuare la sua rivalsa e punire coloro che avevano fatto di tutto per eliminarla. Naturalmente tale vendetta va letta in una chiave metaforica, come riappropriazione della propria libertà e identità. Potremmo paragonarla al processo di guarigione che deve fare la vittima di violenza, senza spade o altre armi, ma lottando con cervello e determinazione.

Chi è la protagonista?

La protagonista è una donna, che faceva di mestiere la killer, per la banda del suo ex compagno Bill. Nel momento in cui apprende di essere incinta, decide di cambiare vita. Certa che il suo fidanzato non avrebbe mai smesso di uccidere, neppure per un figlio, gli tiene nascosta la gravidanza, con l’intenzione di cominciare una nuovo percorso. La vediamo così vestita da sposa e con il pancione, mentre fa le prove di matrimonio con il suo futuro marito, che è l’esatto opposto di Bill: un uomo tranquillo e dalla vita normale. Beatrix, aveva affinato le qualità per essere killer, grazie alla durissima scuola di Pai Mei, famoso maestro di arti marziali. Ella rappresenta la donna vittima di violenza, perseguitata e quasi uccisa dall’ex partner. Ma è una vittima sui generis, poiché riuscirà più volte a scampare la morte, grazie a una volontà smisurata. Tornerà così per vendicarsi del suo carnefice e degli adepti dello stesso. Quella che nel film è la vendetta, in verità è il processo di salvezza che deve intraprendere qualsiasi donna che abbia subito violenza. Il salto verso la libertà e la dignità, nella realtà di tutti i giorni, non avviene con la spada di Hattori Hanzo, ma guardando dentro sé stesse e riprendendo in mano la propria vita.

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Uccise dalla gogna mediatica

Pubblicato da Ambra Sansolini su martedì 28 novembre 2017

 

Pubblicato da Ambra Sansolini su martedì 28 novembre 2017