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Quando il corpo parla delle violenze

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Le malattie psicosomatiche sono il prezzo che devono pagare tutte le donne sfuggite al loro carnefice. Nessuno ne parla mai, perché giustamente, davanti ad alcuni femminicidi tanto efferati, diventano nulla. Ma si tratta tuttavia di danni permanenti alla salute psicofisica. La gravità di questi sintomi e la manifestazione cronica degli stessi sono direttamente proporzionali alla durata temporale delle vessazioni subite. Il problema è che neppure l’Autorità giudiziaria dà peso ai nocivi effetti dei maltrattamenti, cercando sempre e solo le lesioni derivate da aggressioni fisiche. Tutto ciò perché ancora non viene data rilevanza alla violenza psicologica e al contorno di un quadro, dipinto con i colori dell’angoscia e della paura. Cosa significa esattamente vivere, sapendo dell’esistenza di un uomo che vuole la tua distruzione? Che qualità di vita conducono le donne costrette a condividere con l’abusante uno o più figli? Quali conseguenze ha, nel corpo e nell’anima, entrare nel labirinto mostruoso della “giustizia” minorile? In che stato di salute versano coloro che devono combattere contro le Assistenti sociali e gli Psicologi della CTU? Chi dà peso a tali danni permanenti? Chi ascolta il dolore di queste donne?

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Quando la corda della trappola diventano i figli

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Quando ci sono figli in comune con l’uomo violento, tirarsi fuori dalla trappola diventa complicato. Abbiamo già analizzato il modo di comunicare dell’abusante ed è stato possibile notare come questo cambi a seconda delle fasi della relazione. Ma c’è un punto in cui raggiunge l’apice del sadismo e questo riguarda la gestione della prole.

D’altronde ha creato famiglia proprio per mettere un laccio alla sua preda e i figli sono l’arma più potente di cui dispone per arrecare danno all’ex compagna o moglie. Va sottolineato però che tutto questo gli è reso possibile da uno Stato che non tutela le vittime di violenza e considera ancora un partner violento come un buon padre. Ogni ramo genitoriale è essenziale per la crescita di un bambino, ma quando siamo davanti a un soggetto patologico non si può lasciare che agisca liberamente o eserciti la potestà senza vincoli. In Italia le donne vengono così lasciate sole a combattere con individui irreprensibili, senza alcuna possibilità di difesa e impedendo loro di tornare a vivere serenamente. Mentre ci auguriamo che questo stillicidio finisca al più presto, intanto forniamo alle vittime gli strumenti giusti per affrontare uomini disturbati e altamente pericolosi. Se nessuno viene a liberarci, dovremmo pur liberarci da sole…

La paternità come maschera del carnefice

Se un Magistrato generalmente dà poco peso agli episodi di violenza segnalati dalla vittima, esiste una condizione in cui questi assumono connotati davvero irrilevanti: quando querelante e querelato si “contendono” uno o più figli.  Allora ogni grido di aiuto viene interpretato solamente come un goffo tentativo per infangare l’altro genitore. Eventualità, questa, che può senz’altro presentarsi, ma che non deve essere trasformata nell’alibi di ferro a favore del carnefice. Diciamo semplicemente che ogni caso è a sé e pertanto andrebbe valutata dettagliatamente ogni storia di violenza, senza l’influenza di pregiudizi o altre generalizzazioni. Purtroppo l’Autorità giudiziaria va ancora alla ricerca dell’aggressione fisica, sottovalutando tutti i segnali che la precedono e che talvolta costituiscono già di per sé una forma di abuso gravissima: la violenza psicologica. Nessuno dà importanza alle continue vessazioni in cui è costretta a vivere una donna che divide dei figli con un narcisista perverso o uno psicopatico, come se in virtù di quella malsana idea della “famiglia a tutti i costi”, essa sia costretta a subire in silenzio. Tutto ciò diventa lo scenario preferito dell’abusante, nel quale si muove abilmente e in modo sadico. La vittima si troverà così completamente sola, intrappolata nelle psicotiche e obbligate comunicazioni con l’ex partner. Dall’altra parte l’aguzzino avrà invece sempre una porta aperta per tenere il contatto e il controllo su colei che ritiene un suo oggetto.

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Era “per te”, oggi è “per me”

 

di Ambra Sansolini

Per te ho allontanato le persone che mi volevano bene, mi sono sforzata di essere quella che non ero. Per fare sorridere te, ho rinunciato al mio sorriso; per fare dormire profondamente te, non ho dormito. Eppure non ti andava mai bene. Per te ho provato a invecchiare prima, in modo che fossimo tutt’uno anche sotto l’aspetto anagrafico. Per te mi facevo bella, ma non te ne accorgevi mai.
Quando mi svegliavo la mattina, la giornata che stava iniziando, mi appariva come un macigno da portare sulle spalle: in fondo avrei solo voluto chiudere gli occhi e continuare a dormire, ma non ero padrona più neppure del mio sonno, perché ti eri preso anche quello.

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Una comunicazione che fa ammalare

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

Solo chi ci è passato sa quanto possa essere distruttiva la comunicazione con un narcisista perverso. Tutte le vittime, pur non sapendo di cosa si trattasse, hanno provato tuttavia una sensazione di sfinimento e addirittura di disperazione. Come riesce il carnefice a portare la preda sull’orlo del baratro? E soprattutto usa questo tipo di comunicazione anche con gli altri?
Per cercare di non farci più irretire dalle trame del ragno velenoso, entriamo nello specifico della questione.

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Mai il braccio di ferro con uno psicopatico

 

Uno psicopatico, finita la relazione (soprattutto quando viene lasciato), deve annientare l’ex compagna o moglie. La grande difficoltà sta nel non cedere mai davanti ai suoi soprusi e ricatti, ma nello stesso tempo non cadere dentro alla trappola delle continue provocazioni e del braccio di ferro, al quale vorrebbe portarvi. Cerca lo scontro in ogni modo, perché è un escamotage per sentirsi considerato e far parte ancora della vita di colei che ritiene la sua vittima.

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“Denunciate” e poi chi crede a quelle donne?

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Ovunque sentiamo dire alle donne di denunciare le violenze. Ma ai fatti, la maggior parte delle denunce viene archiviata. Tutto ciò è stato vissuto dalla protagonista del nostro romanzo, Agnese, che ha sporto ben cinque denunce per stalking senza alcun riscontro da parte dell’Autorità Giudiziaria. Come migliaia di altre vittime, è stata lasciata sola. Pur non essendo stato possibile inserire nel romanzo tutti i dettagli del suo atroce racconto, ci teniamo a illustrarli al nostro pubblico. Perché è ora che tutti sappiano cosa avviene nella magistratura italiana.

Ciao Agnese, siamo di nuovo qui

Per me è sempre un piacere. Spero solamente che la mia testimonianza apra gli occhi alla gente e risvegli la coscienza di chi dovrebbe tutelare le donne vittime di violenza.

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