di Ambra Sansolini
Introduzione
L’amore porta le donne a essere vittime. Più raramente carnefici. Cosa spinge una creatura femminile a voler distruggere un’altra simile? Solo l’amore è la porta di ingresso che apre la strada a situazioni pericolose?
Per capire meglio questi drammi, prenderemo in esame le tragiche storie di Sarah Scazzi e Rossana D’Aniello.
L’amore: un sogno tutto al femminile che mette a nudo le nostre fragilità
Nei casi di femminicidio, compiuti da un uomo, l’amore è il laccio con il quale intrappolare la donna. Il più nobile sentimento umano diventa così la maschera preferita dall’aguzzino. Tutto ciò è facilmente attuabile perché esso trova sede soprattutto nel cuore femminile. Sono le donne a crescere fin da bambine con questo sogno, fatto di passione e dedizione. Troppo spesso bisognose di accettazione e cura, l’impellente desiderio di essere amate le trascina in relazioni tossiche, che possono rivelarsi addirittura letali. Per lo stesso motivo, anche se molto più raramente, arrivano a indossare i panni dell’assassino, agognando la distruzione di un’altra donna.
Si tratta della triangolazione affettiva, nella quale i tre protagonisti, “io, lui e l’altra”, non riescono a convivere pacificamente. Un cliché che ha sempre accompagnato la storia della musica, della letteratura e in generale l’umanità. L’esclusività del rapporto sembra essere una prerogativa a tinte rosa ed è questa necessità a costruire il nefando scenario delle donne contro le donne. Un aberrante palcoscenico, costituito da invidia, gelosia, voglia di essere l’unica musa ispiratrice di un soggetto maschile senza spina dorsale, che non sa scegliere. Altre volte entra in gioco l’incapacità di comprendere la frivolezza di alcuni uomini, che volano di fiore in fiore. E allora, l’enorme ferita di essere state usate va sanata a tutti i costi, procurando sofferenza a una “sorella”.
Esistono poi episodi analoghi, in cui la triangolazione non è reale, ma viene vissuta unicamente nella mente di colei che sogna a tutti i costi di vedersi in una coppia. Una sorta di voyeurismo dell’amore in cui si prende parte di nascosto alla felicità altrui. Quando poi ci si accorge di non poter partecipare pienamente a quella rigogliosa mensa, ecco che scatta la follia omicida.
Tre donne per un femmincidio: la storia di Sarah Scazzi
L’uccisione di Sarah Scazzi ha destato l’attenzione mediatica e e della gente comune non solo per la tenerà età della fanciulla, ma per i continui ribaltamenti di realtà e la divisione della colpa tra zio, zia e cugina. Quest’ultima ha retto la scena nella villa di Avetrana per giorni e giorni, fingendo la parte dell’addolorata e di colei che chiedeva a gran voce giustizia. Non è stato difficile far credere che fosse suo padre l’assassino: un uomo cupo e solo, che passava le giornate in campagna. Ogni mostro che si rispetti, deve possedere certe caratteristiche e il Signor Misseri ce le aveva davvero tutte. E invece non era la brutalità di un semplice contadino a fare da sfondo al crimine, bensì un flirt, l’indomabile passione tra Sabrina e un ragazzo. E la piccola e ingenua Sarah che ruolo aveva in tutto questo? Era lo sfogo delle elucubrazioni mentali della cugina, l’unica confidente del sentimento che la stessa aveva iniziato a provare per il baldo giovane. Ad alimentare la fiamma della tragedia è stata la fine di quella frequentazione, che Sabrina non ha mai accettato. Mentre il ragazzo si era divertito, ella aveva lasciato un pezzo di sé stessa nell’alchimia dei loro corpi. E allora sarebbe stato più semplice trovare un capro espiatorio, anziché ammettere la cocente delusione. Sarah era una fanciulla graziosa, che certamente avrebbe potuto attirare l’attenzione maschile. Ma perché scaricare tutta la frustrazione su di lei e non su un’altra ragazza del paese? A metterle addosso definitivamente l’etichetta di vittima è stata la notizia del flirt, vissuto dalla figlia dei Misseri, che correva nella piccola realtà geografica tra pettegolezzi e cattiverie. Alla sofferenza per un amore non ricambiato, si aggiungeva così il peso della vergogna, che avrebbe investito non solo Sabrina ma anche la sua famiglia. E chi, se non la prima e unica amica intima, Sarah, avrebbe potuto mettere in giro quella voce? Nella mente offuscata delle due donne di casa Misseri la fanciulla dai capelli dorati era la causa di tutto.
La bestia nera dell’invidia: il delitto compiuto da Daniela Cecchin
È possibile venire uccise da una persona che non si conosce? Può esserci qualcuno che, a nostra insaputa, ci spia quotidianamente, desiderando una vita che non gli appartiene? Questo è quanto accaduto a Rossana D’Aniello, finita nella cieca mira di Daniela Cecchin. Il motivo? Semplicemente essere una donna affascinante e felice, avere una bella famiglia. Le due donne non si erano mai conosciute, ma c’era un filo conduttore che aveva portato l’assassina alla vittima: il marito di quest’ultima, Paolo Botteri, conosciuto alla facoltà di Farmacia. Nessuna frequentazione tra l’uomo e la Cecchin, ma ad alimentare l’infima invidia di lei forse anche un amore giovanile per lo stesso, mai corrisposto. Certamente, rivederlo nella bella Firenze felice e appagato con una valorosa donna al fianco, deve aver esasperato la folle frustrazione di una creatura femminile che non aveva mai accettato la propria vita, desiderando invece quella degli altri.
Il delitto di Rossana è stato preceduto da una subdola persecuzione, fatta di telefonate anonime, attraverso le quali la stalker voleva far sentire il proprio fiato sul collo dell’ignara preda. Episodi sottovalutati dalla famiglia Botteri, i cui componenti erano certi di non avere nemici. Chi può voler tanto male a persone con le quali non si è condiviso nulla? Non esistono individui più pericolosi dei ladri della felicità altrui, di coloro che preferiscono guardare vivere gli altri anziché godersi la vita.
Un femminicidio dai tratti disumani per l’efferatezza con la quale è stato eseguito. L’occhio maniacale della Cecchin sull’esistenza della funzionaria di banca si è trasformato in una lunga lama affilata. Se fino a quel momento aveva vegliato malignamente sulla quotidianità della vittima, era ormai giunta l’ora di entrare anche fisicamente nella casa dei suoi sogni. La consegna di un pacco con il falso logo dell’Associazione titolari di farmacie ha spalancato la porta alla distruzione totale di colei che aveva come unica colpa quella di essere “bella e felice”.
Conclusioni
Come abbiamo potuto analizzare, mentre l’uomo spesso si serve dell’inclinazione femminile all’amore per sottomettere la donna, quest’ultima resta intrappolata nello stesso impellente desiderio di essere amata. Brama che quasi sempre la rende facile preda di uomini manipolatori, ma che in taluni casi può spingerla a rendersi autrice di raccapriccianti crimini contro altre creature femminili.
Pertanto, un primo passo da compiere per combattere la violenza sulle donne è educare all’amore. Per quanto tale sentimento sia un naturale bisogno umano, occorre tirarlo fuori e incanalarlo nella giusta direzione, onde evitare che si trasformi in una potente onda distruttiva o autodistruttiva.
Sarebbe utile insegnare alle bambine a essere un po’ più streghe anziché principesse. Già sui banchi di scuola bisognerebbe far capire alle future donne di domani che la felicità non coincide necessariamente con l’amore. Felice è chiunque riesce a guardarsi dentro, accettandosi con i propri limiti e fragilità. Solo questo volo interiore permette di essere liberi dall’accettazione e dal giudizio altrui.
Gestire i rapporti nella società odierna è certamente più complicato rispetto al passato, ma deriva in fondo dalla libertà che abbiamo sempre reclamato. Tuttavia, non va dimenticato che possiamo scegliere. E anche quando non abbiamo una colpa, dobbiamo ammettere una porzione di responsabilità. È in questo modo che si esce dal tunnel della violenza e si spezza una catena infinita di sofferenza umana. Diventa essenziale restare obiettive e vicine alla realtà, evitando di vedere principi azzurri dove ci sono solo predatori o di sentirsi amate, mentre siamo lo svago e il divertimento del latin lover di turno. Appare quindi importante spezzare alcuni pregiudizi retrogradi e ormai anacronistici, per i quali la donna deve coincidere per forza con l’immagine dell’amore. Che male c’è a vivere un flirt? Perché l’amore deve essere usato come il parafulmine a istinti e bisogni umani, che accomunano maschi e femmine?
Ci sarebbe certamente meno violenza, se sapessimo rispettare le persone, usando gli oggetti e non il contrario.
Leggi l’agghiacciante storia di Sarah Scazzi
Vai all’articolo sul delitto compiuto da Daniela Cecchin
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