di Ambra Sansolini
Introduzione
I media ci informano quotidianamente sui femminicidi, senza mai rendere verità alle donne costrette a vivere una violenza psicologica infinita, qualora siano costrette a condividere con l’uomo maltrattante dei figli in comune. Ma cosa significa per un soggetto patologico mettere al mondo dei figli? Perché, pur non adempiendo ai doveri e alle responsabilità genitoriali, mostra un attaccamento morboso verso la prole? E soprattutto con quanta facilità un individuo violento crea “famiglia”?
Abbiamo ascoltato una donna che da più di dieci anni è obbligata a gestire le due figlie avute dall’ex compagno, da lei lasciato per maltrattamenti in famiglia. La moda dell’affido condiviso ha portato a queste terribili situazioni, in cui i narcisisti perversi e, nei casi peggiori, gli psicopatici si divertono a seminare lacrime e dolore. Nessuno considera i danni incommensurabili che può fare un padre simile, perché in fondo basta la sua esilarante recita narcisistica agli occhi dei Servizi Sociali per ottenere il “passe-partout” della genitorialità.
Nei prossimi articoli daremo voce alle parole della vittima. Intanto, abbiamo avuto modo di approfondire le numerose mail e lettere che il carnefice ha inviato dalla loro separazione fino ad oggi. Un vero e proprio bombardamento, un continuo aggredire la donna in una modalità così perversa, che chiunque legga quelle righe, proverebbe un’angoscia indescrivibile. Il dramma è che si tratta di una paura fondata, ma difficilmente evidenziabile, poiché la “comunicazione” dell’aguzzino è assai violenta e allo stesso tempo subdola. Pertanto, agli occhi di un qualsiasi lettore sembrano non esserci elementi rilevanti di vessazione, anche se avvertiamo un profondo malessere e disagio. Questa contrapposta dualità, tra una forma apparentemente non violenta e un contenuto che genera inquietudine, crea un nocivo effetto destabilizzante per la vittima: il dolore cagionato da quelle parole ha veramente ragione di esistere? A lungo andare, ella dubiterà della propria sanità mentale e ciò avverrà soprattutto quando si consulterà con altre persone, che magari senza immedesimarsi nella sua condizione e limitandosi a leggere a livello letterale la missiva, non noteranno alcun elemento degno di essere definito sopruso. Solo un essere perverso riuscirebbe ad attuare un qualcosa di così diabolico. La perversione è proprio questo: ferire, distruggere e uccidere, senza farsi notare. Si tratta infatti di soggetti che Robert Hare definisce come “predatori sociali intraspecie”.
Vai all’articolo “Psicopatia: sanità mentale o follia?”
La lettera
Cara M.,
poiché continui a non capire cose semplici che cerco in tutti i modi di comunicarti, mi sembra opportuno spiegarti per iscritto la mia posizione verso di te, verso G. e verso D.
Come avrai appreso, voglio riconoscere anche la bambina che nascerà a luglio e sono disponibile a mantenere sia lei che la primogenita nelle modalità che potremo stabilire insieme. Sono perfettamente cosciente della tua precaria condizione, visto che non disponi di uno stipendio mensile fisso e che purtroppo sei orfana di entrambi i genitori.
Per essere preciso, cercherò di venirti incontro a seconda delle mie possibilità durante il periodo della gravidanza e nei primi sei mesi di vita di G. Ma, come stabilisce la Legge, ti sottolineo che ho diritto di vedere ora D. e quando nascerà G.
Decideremo insieme le modalità di frequentazione, però ti faccio presente sin da subito che desidero poterla avere tutti i giorni di festa e i week end . Quanto ti ho scritto, mi sembra far parte del senso di giustizia e civiltà che, come credo, tu sia in grado di applicare.
Rifletti sulle mie proposte e poi definiremo insieme i dettagli, ma su un punto resto irremovibile: circa i miei diritti su mia figlia D. , che sono l’assoluta priorità nella mia vita.
Resto in attesa di una tua risposta, certo di una collaborazione puntuale e precisa.
In fede
P.
Analisi della lettera
L’epistola inizia con un’accusa velata alla donna: senza asserirlo, il soggetto disturbato allude al fatto che ella non sia in grado di capire persino le cose più banali. In poche parole le dà della stupida, pur senza dirlo esplicitamente. Questo esordio pone il destinatario già in una situazione subalterna rispetto al mittente, creando da subito un clima di forte disagio e andando a ledere l’autostima dell’ex compagna.
Prosegue poi, esprimendo una sua volontà, che è quella di riconoscere la bambina che nascerà a luglio. Si potrebbe erroneamente pensare che questo denoti un atteggiamento di responsabilità, ma poiché non esistono doveri nella mente di un tale individuo, con il verbo “riconoscere” intende mettere il sigillo a quella che ritiene una sua proprietà e cioè la figlia.
In seconda battuta, parla del mantenimento verso i figli e qui già eclissa il tutto in contorni aleatori e da definire, però riesce a farlo così diabolicamente da sembrare anche buono: infatti scrive addirittura che le modalità di mantenimento saranno definite insieme. Intanto a ragion del vero, non accenna minimamente in concreto alla somma economica da versare in favore della prole.
Entrando nella sfera economica, l’individuo violento si sente l’uomo-padrone e usa questa stessa per avvalorare il suo malato senso di potere e controllo sulla vittima. La mappa concettuale che ha nella testa bacata, gli suggerisce tale assioma: “se mantengo te e i miei figli, siete di mia proprietà”. Vale anche “se dimostrate di essere sotto il mio controllo, allora vi fornisco le risorse economiche necessarie”. Nell’uno o nell’altro caso, non esiste mai nella sua mente un dare senza tornaconto. Gli uomini violenti hanno uno stile di vita parassitario e le rare volte che concedono qualcosa agli altri, ciò equivale a comprarli, perché le persone sono oggetti. Anche l’atto di donare per loro è una forma di controllo e di affermazione di sé stessi: “se ti do, è perché tu hai bisogno di me”, “se hai bisogno di me, io sono importante”, “tu non puoi esistere o affermarti senza di me”.
Nel caso specifico P. compatisce l’ex compagna per la precaria situazione economica in cui versa: al fine di distruggerla psicologicamente, ne sottolinea infatti i punti di fragilità, mettendo in risalto al contempo la necessità e quindi la dipendenza dalle finanze maschili. Continua sulla via del vago e dell’indefinito, senza specificare somme economiche o essere preciso e dettagliato così come lo è nel definire i suoi diritti. Cosa ancora più allucinante, si mostra disponibile a concorrere al mantenimento della seconda figlia, relativamente al periodo della gravidanza e ai primi sei mesi di vita della nascitura. Tutto questo perché dà sottintesa l’idea che la donna non possa lavorare mentre è incinta e durante i primi sei mesi di vita della bambina, lasso di tempo che i pediatri, secondo una corrente scientifica ormai desueta e oltrepassata, consideravano adatto per l’allattamento (oggi, chiunque abbia dei figli, sa che i medici consigliano di allattarli al seno il più a lungo possibile, anche quando si inizia lo svezzamento). Nel suo perverso modo di ragionare, sottintende anche che la donna, terminati i sei mesi di vita della bambina, debba provvedere da sola a mantenerla.
Dobbiamo quindi fare un passo indietro: se abbiamo precedentemente detto che l’abusante usa il denaro per controllare la vittima, perché vuole che questa lavori? Lo scopo principale è renderla schiava: che sia sua schiava o schiava di un lavoro senza diritti e mal retribuito, per lui va comunque bene. Sottolineiamo che molte donne vittime di violenza economica sono state defraudate delle loro finanze e impossibilitate a gestire persino il denaro che si guadagnavano da sole. Concludendo, potremmo dire che egli pensa così: “quello che è mio, è solamente mio: se ne vuoi una parte, devi essere la mia schiava”, “quello che è tuo, è anche mio”.
Successivamente, ribadisce ancora in maniera perentoria i suoi diritti, iniziando la frase con una congiunzione avversativa “ma”. C’è una clausola a tutte le sue “elargizioni”: il diritto di “vedere” le due bambine. Notiamo il verbo “vedere”. Lo psicopatico non usa mai il verbo crescere, accudire, prendersi cura. Scrive invece “vedere”, perché i figli per lui sono come oggetti da vedere nella vetrina di un negozio. Per avvalorare il suo pensiero, giunge a parlare di Legge: un uomo simile è il primo a non rispettare alcuna norma e non sono rari i casi in cui presenti anche i tratti della personalità antisociale, inserendosi nella criminalità vera e propria. Nonostante questo, egli continuerà a ricattare e a pressare gli altri in nome di una Legge, che è il primo lui a non seguire. Per manipolare le persone e ottenere i suoi scopi, farà leva su tutti i principi morali ed etici di cui egli non dispone.
Anche in questo caso, finge di mostrarsi aperto a un accordo con la controparte onde stabilire le frequentazioni padre-figlie. Però stavolta, diversamente dai doveri di mantenimento, entra nello specifico e ribadisce ancora prepotentemente le sue volontà: “desidero poterla avere tutti i giorni di festa”. Senza neppure accorgersene e rivelando le sue vere macabre intenzioni, attraverso un “lapsus linguae”, menziona solo una delle due figlie. Vuole avere con sé la bambina nei giorni di festa, come fosse un abito da cerimonia o un qualsiasi altro oggetto di decoro. I figli sono per lo psicopatico il trofeo da mostrare al mondo per far vedere che egli è migliore degli altri. La prole gli serve per costruirsi all’interno della società un’immagine impeccabile, che vada a seppellire tutto il marcio che ha dentro. Solitamente è un soggetto che fa uso di droghe e alcol; può essere un esponente della malavita e avere amici malavitosi come lui. Arriva ad avere atteggiamenti sessuali promiscui e una doppia vita, che è all’opposto di quella pulita e integra che può garantirgli, in apparenza, la famiglia che ha creato.
Per dare un impatto più forte alle sue uniche volontà, butta in mezzo ancora una volta il senso di giustizia e civiltà, che è certo faccia parte di una donna empatica come la sua ex compagna. Proprio perché egli non conosce empatia, sa benissimo ferire e manipolare gli altri attraverso la loro capacità di immedesimazione.
Conclude, mostrando una finta apertura al dialogo circa quelli che definisce i dettagli, poiché in verità tutto il resto l’ha già deciso lui. Ammette chiaramente di essere irremovibile su un punto: i diritti della primogenita, che definisce “assoluta priorità”. Si dimentica così nuovamente dell’altra bambina che sta per nascere, come fosse un oggetto non ancora comprato e impacchettato: un prodotto ancora in fabbricazione. Perché definisce la prima figlia come priorità? Ella è la sua arma, al momento certa, contro l’ex compagna. Ella è il mezzo con il quale può tenere in pugno la vittima e sottometterla al suo continuo controllo.
Conclusioni
Dall’epistola emergono continuamente i tratti dispotici e violenti dell’uomo. Ma ciò avviene in modo così subdolo, che è impossibile rilevarli, se non attraverso una dettagliata analisi.
Mentre ha ripetutamente finto di mostrarsi aperto a un accordo civile e al dialogo, in realtà ha dettato tutte le sue volontà. Se, relativamente ai doveri, non ha accennato ad alcuna definizione certa, per quanto riguarda i diritti ha invece espressamente dichiarato i suoi desideri.
Emerge perfettamente come i figli siano considerati dei veri e propri oggetti: da notare la dimenticanza, alla fine della lettera, della seconda figlia, che ancora deve nascere e quindi è un prodotto in stato di lavorazione. Traspare in maniera evidente anche la violenza economica che esercita sulla vittima: assurdo e disumano il “ragionamento” sul mantenimento della nascitura, che prelude comunque all’idea della donna come schiava.
Ricorrono termini relativi all’area semantica dei privilegi e del divertimento: giorni di festa, week end, diritti. In questo contesto rientrano anche i verbi volitivi: “voglio” e “desidero”.
Da brividi anche il verbo usato per descrivere il suo rapporto con i figli: “vedere”.
Gli altri, compresi i figli, sono un prolungamento di sé stesso, per questo nella sua ottica non esistono rispetto e libertà. La continua “cosificazione” delle persone che ha attorno, gli permette di essere un perfetto predatore, scaltramente mascherato e inserito nella società.