Quando il corpo parla delle violenze

Quando il corpo parla delle violenze: quali sono i segnali che ci manda?

 

di Ambra Sansolini

Introduzione

Le malattie psicosomatiche sono il prezzo che devono pagare tutte le donne sfuggite al loro carnefice. Nessuno ne parla mai, perché giustamente, davanti ad alcuni femminicidi tanto efferati, diventano nulla. Ma si tratta tuttavia di danni permanenti alla salute psicofisica. La gravità di questi sintomi e la manifestazione cronica degli stessi sono direttamente proporzionali alla durata temporale delle vessazioni subite. Il problema è che neppure l’Autorità giudiziaria dà peso ai nocivi effetti dei maltrattamenti, cercando sempre e solo le lesioni derivate da aggressioni fisiche. Tutto ciò perché ancora non viene data rilevanza alla violenza psicologica e al contorno di un quadro, dipinto con i colori dell’angoscia e della paura. Cosa significa esattamente vivere, sapendo dell’esistenza di un uomo che vuole la tua distruzione? Che qualità di vita conducono le donne costrette a condividere con l’abusante uno o più figli? Quali conseguenze ha, nel corpo e nell’anima, entrare nel labirinto mostruoso della “giustizia” minorile? In che stato di salute versano coloro che devono combattere contro le Assistenti sociali e gli Psicologi della CTU? Chi dà peso a tali danni permanenti? Chi ascolta il dolore di queste donne?

La risposta del corpo alla violenza

Se dovessimo elencare tutte le malattie che si manifestano nelle vittime di violenza, dovremmo fare una lista infinita. A essere maggiormente colpito è sicuramente il sistema immunitario, in stretto legame con tutti gli altri organi del nostro corpo. Studi scientifici dimostrano la correlazione tra l’insorgere di molte sintomatologie e lo stress. Quest’ultimo, insieme alla paura, costituisce una molla importante per la nostra reattività: è la scintilla che ci permette di affrontare determinati stimoli. Eppure, quando supera i livelli sani, può causare numerose malattie e andare a incidere pesantemente sullo stato di salute generale. Una donna che viene maltrattata, perseguitata o che vede portarsi via i figli solamente per il fatto di avere avuto il coraggio di denunciare un uomo violento, è costantemente in uno stato di allerta. Potremmo paragonare il tutto a un allarme di una casa che non suona più unicamente in presenza di rumori e altre vibrazioni, ma resta perennemente acceso. Il risultato finale sarà, oltre al fastidio causato da una campanella fissa, la rottura dell’apparecchio. Il nostro corpo funziona allo stesso modo. Alcuni sintomi fungono da campanelli di allarme e rappresentano il modo in cui l’anima ci parla. Sarebbe bello e proficuo poter immediatamente spegnere l’interruttore e mettere così fine all’allarme procurato, ma le vittime purtroppo sono obbligate per anni e anni a vivere sotto una pressione disumana. Inutile sottolineare che la denuncia non è la fine del pericolo, ma l’inizio di una battaglia estenuante. D’altronde, difendere la propria vita da chi vuole portarcela via toglie energie e forze. Le donne impegnate a sopravvivere, si dimenticano di loro stesse e non ascoltano le spie del corpo. In fondo cos’è un’eruzione cutanea in confronto alla morte? Solamente quando riescono a salvarsi dal tragico epilogo, si accorgono dei molteplici danni causati da quella dilaniante sofferenza. Eppure in Italia la Magistratura non tiene conto di queste lesioni permanenti. Diagnosi, prognosi e tanti altri dati scientifici non possono rendere fede a una situazione psicofisica, minata giorno per giorno. Alcune malattie non escono fuori con la velocità di una pallottola, conficcata nelle membra. La violenza provoca danni a non finire e lo fa anche piano piano, come la goccia che buca la pietra. Molti uomini violenti, sapendo dell’impunibilità di certe condotte e dell’indimostrabilità tra causa e effetto, giocano su questa aberrante realtà e scelgono così per la preda un’agonia subdola e perversa. Nessun Giudice condannerebbe l’imputato perché l’ex compagna si è spenta lentamente sul fondo di un letto. Se ti esce fuori una malattia o se solo molli di un centimetro, il peggio è solamente per te. Ma noi non siamo Mazinga o Ufo robot. Se è già complicata la quotidianità di ogni essere umano, figuriamoci quella di chi porta ogni giorno sulle spalle la soma di una battaglia senza fine. Dove sta scritto che dobbiamo dilaniarci per garantire la nostra sopravvivenza? Che ruolo hanno le Istituzioni in questo stillicidio? Dove sono coloro che dovrebbero difenderci?

Leggi la violenza sulla violenza 

Le ali della vita

Oggi prendiamo in esame un muscolo poco conosciuto, ma fondamentale per la nostra struttura: l’ileopsoas, chiamato anche “muscolo dell’anima”. Questa definizione la dice lunga sulla stretta correlazione tra lo stesso e le emozioni. La prima parte del nome composto si riferisce invece al tratto di intestino vicino al quale si sviluppa: l’ileo. Si compone di due muscoli, il grande psoas e l’iliaco. Le sue funzionalità biomeccaniche sono molteplici, ma in parole più semplici possiamo dire che permette la flessione delle anche e fa da unione tra il tronco e le gambe. Essendo posizionato al centro del nostro corpo, ha numerosi rapporti anatomici con altri organi, tra i quali il diaframma, il rene, il colon, l’intestino cieco, l’appendice e l’ileo. Si tratta nello specifico del muscolo legato alla nostra risposta di reazione: ci permette infatti di scattare o all’opposto ci blocca.
Se guardiamo la sua posizione nel bacino, notiamo che somiglia a un paio di ali.
Quantità eccessive di stress provocano l’accorciamento dell’ileopsoas e conseguenti sintomatologie come la pubalgia, l’iperlordosi, l’ernia del disco e la lombosciatalgia. Quando si presenta in uno stato di tensione va a intaccare la colonna vertebrale e il nervo sciatico. Nelle persone che vivono costantemente una situazione di pericolo è sicuramente più facile che vada in tensione, provocando i problemi di salute su detti. L’ileopsoas non si può toccare con le mani, talmente situato in profondità, proprio là dove vanno a colpire le violenze. Alcune di esse non si vedono e non si toccano con le mani, proprio come l’ileopsoas, eppure ci sono.

Leggi l’articolo relativo all’ileopsoas

Conclusioni

Sottolineiamo il nesso tra violenza sulle donne e bacino: gli abusi continui incidono proprio sulla parte del corpo relativa alla femminilità e alla riproduzione. Va ricordato che il femmincidio è qualsiasi tipo di violenza fatta su una donna in quanto donna. Il centro della creatura femminile è il ventre: sorgente di vita.
Abbiamo preso in esame una conseguenza delle vessazioni sul piano muscolare. Verranno approfondite sul nostro sito altre invalidanti malattie, che per la  Magistratura però sono considerate una nullità. E i carnefici intanto si strofinano le mani…

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