di Ambra Sansolini
Introduzione
Nel nostro sito, così come nel romanzo “Su ali di farfalla”, abbiamo sempre sottolineato come a gettare le vittime di violenza nel baratro non sia tanto l’aguzzino, quanto un intero sistema che gli permette ogni losca azione. Se il carnefice venisse lasciato solo, non riuscirebbe a fare tutto il male di cui è capace. Gli organi preposti alla difesa delle donne tendone a colpevolizzare queste ultime, inscenando plateali ribaltamenti della realtà, dal macabro gusto narcisistico. Si vuole a tutti i costi colpevolizzare chi cerca di uscire fuori dal fango, colei che va avanti con l’anima dilaniata e nonostante i sogni spezzati. Tutto questo perché ormai sei etichettata come vittima e tale devi rimanere. Come se dovessi a tutti i costi pagare lo scotto di esserti innamorata un tempo di un essere maligno e/o psicopatico. Sembra che ad avere predominanza siano i diritti di un criminale senza empatia e dal cervello bacato, responsabile di avere massacrato la vita a creature innocenti, come donne e bambini. Non puoi definirlo mostro, non devi chiamarlo delinquente, perché altrimenti -poverino- patisce danni indecifrabili. E invece quelli della parte veramente lesa, che ruolo hanno? Allora fanno di tutto per tapparti la bocca, poiché il coraggio di gridare certe violenze fa paura. Fa paura all’abusante, ma ancora di più agli addetti ai lavori, che dovrebbero rimboccarsi le maniche e fare finalmente giustizia. Così, anziché sanare i buchi neri di un meccanismo che non tutela a dovere le vittime di violenza, diventa più facile accusare quelle stesse, metterle sul rogo come le streghe.