A tu per tu con Agnese: l’immobilità dell’anima

A tu per tu con Agnese: l'immobilità dell'anima. La protagonista del romanzo "Su ali di farfalla" racconta alcuni dettagli non descritti nel libro.

 

di Ambra Sansolini

 

Introduzione

 

Violenza psicologica e dipendenza affettiva. Ormai ne sentiamo parlare tanto, perché rendono la donna inerme nelle mani del suo carnefice. Psicologi e Psichiatri possono spiegarci meglio questi fenomeni, ma venire a contatto con le sensazioni di chi ci è passato può aiutare a riconoscersi in certe descrizioni. Cosa prova la vittima in quei momenti? Perché anche la più forte diventa improvvisamente fragile e incapace di reagire? Nel romanzo “Su ali di farfalla” si parla anche di questo. Ma per non dilungarci troppo, sono state saltate alcune parti del racconto di Agnese. Riprendiamo quelle dichiarazioni, con lo scopo di rendere chiaro il motivo per cui è sbagliato definirle “donne fragili” e ancora di più giudicarle perché non lasciavano il loro compagno o marito.

Leggi la presentazione del romanzo 

«Sentiva in cuor suo di voler prendere una decisione senza tuttavia riuscire a farlo» (“Su ali di farfalla”, terza parte). Agnese, perché non riuscivi a decidere? Cosa ti bloccava?

Non è facile spiegare cosa si prova in quei momenti. La confusione è così profonda che non riesci più a capire cosa vuoi davvero. Volevo lasciare Leonardo, ma quando ero sul punto di farlo, puntualmente non ce la facevo.

Facciamo un passo indietro. Per quale motivo sentivi il desiderio di lasciare Leonardo?

Mi ero accorta che non era più il fidanzato dolce, premuroso e romantico dei primi tempi.

E come era diventato?

L’opposto del Leonardo di cui mi ero innamorata. Mi criticava in tutto, ero sempre quella sbagliata. Ripeteva che ero la causa della sua crisi sul lavoro. Dopo la costante presenza che mi aveva dato all’inizio del rapporto, durante la convivenza pretendeva un distacco maggiore. Diceva sempre che «le vere coppie si salutano la mattina e si rivedono la sera». Pertanto mi obbligavo a non sentirlo, anche quando magari avrei voluto ascoltare la sua voce e salutarlo come fanno tutti i fidanzati del mondo. Ma non andava bene neppure così: a quel punto mi faceva sentire in colpa, perché non l’avevo mai cercato durante la giornata. Non sapevo più cosa fare.

In questa fase di totale smarrimento, subivi già violenza fisica?

Sì.

Le sue sadiche critiche e umiliazioni, le continue richieste snervanti erano iniziate solo in quel momento oppure prima che cominciasse a sottoporti ad abusi fisici?

Erano iniziate prima, ma in forma lieve e in un crescendo così subdolo e sottile che facevo fatica a capire cosa stesse accadendo. Insomma, ogni volta che ricevevo il suo disprezzo pensavo fosse un episodio sporadico e isolato. E quando mi accorsi che ormai era diventata una consuetudine e non più un caso, ero convinta che, assecondandolo in tutto, avrebbe smesso e sarebbe tornato l’uomo dolce e sensibile dei primi tempi.

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Dalle tue parole viene sempre fuori il confronto tra questa dolorosa fase e l’inizio felice della relazione. In che modo era riuscito a farti sentire così bene? Cosa ti dava di tanto importante durante la vostra frequentazione?

In lui c’era tutto ciò che avevo sempre desiderato. Era capace di ascoltarmi. Aveva una robusta fede in Dio. Non mi guardava per ciò che ero fuori, ma per quella che ero dentro. Era un uomo stabile ed equilibrato, uno di quelli davvero fidati.

E tu come ti sentivi?

Io ero alle stelle, su un altro pianeta. Avevo la certezza di avere trovato l’uomo della mia vita. L’altra metà, facendo riferimento al mito di Platone nel Simposio. Mi sentivo completa con lui, m’infondeva quel senso di sicurezza che per la giovane età non avevo. Ma ciò che più mi colmava il cuore, era che non si mostrava preso da una semplice passione carnale. Sembrava quasi non vedere il mio corpo: il nostro era un incontro di anime.

Oggi lo definiresti ancora un incontro di anime?

No. Che mi avesse guardato nell’anima, resta l’unica cosa reale e vera di un amore mai esistito. Ma lo aveva fatto per succhiarla, proprio come fa un vampiro…

Agnese, di chi ti eri innamorata?

Di una maschera costruita sul nulla. Avevo dato tutta me stessa a qualcuno che non era mai esistito, se non nei miei sogni e desideri.

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Quant’è complicato scoprire questa atroce verità? Cosa si prova nel rendersi conto di avere investito la parte migliore di sé in un amore mai esistito?

È un vero e proprio trauma. Forse uno dei motivi per i quali non riuscivo a lasciarlo era anche questo: non avevo la forza per guardare in faccia la verità . Ormai mi aveva distrutta dentro ed ero costantemente divisa tra il non sapere quale realtà stessi vivendo e il non volerla vedere.

Perché? Cosa avrebbe significato ammettere che avevi amato una “maschera costruita sul nulla”?

Mi sarei sentita profondamente in colpa. E quel dannato senso di colpa già lo provavo troppo… Era colpa mia se lui aveva problemi sul lavoro, era colpa mia se sua madre metteva le mani nelle mie cose intime. Era già comunque colpa mia di tutto. Figuriamoci se ce l’avrei fatta a sentirmi colpevole anche di questo!

Oggi però sei consapevole che quell’amore non è mai esistito. Ti senti ancora colpevole?

No, ormai mi sono perdonata. Il perdono è un mezzo fondamentale per arrivare alla guarigione. I primi tempi ti chiedi perché sia capitato tutto ciò proprio a te. Ti senti cretina e rischi di convincerti ancora di più che non vali nulla. A questo primo stadio di colpevolizzazione estrema segue la rabbia. Ce l’hai con te stessa. Ma la rabbia è già il segnale di una ripresa, perché è un’emozione che ti fa venire fuori qualcosa: esplodi e non implodi più. Nella fase iniziale dell’implosione, invece, ti percepisci come una rana dalle guance gonfie. Se esiste un punto più basso dell’abisso, è lì che ti trovi. Devi guardarti dentro, ma questa è un’operazione che costa fatica a chiunque, figuriamoci a chi ha l’autostima di una formica sotto le zampe di un elefante!

Come si arriva allora alla guarigione?

Sicuramente non da sole. Il supporto della famiglia e degli amici è fondamentale. Poi diventa necessario anche un percorso di psicoterapia. Nello stesso tempo bisogna informarsi e documentarsi sul fenomeno della violenza. Quando scopri e conosci il disturbo di cui è affetto il tuo carnefice, inizi a renderti conto di non avere colpe. A quel punto però è necessario l’aiuto di uno Psicologo per capire cosa abbia permesso all’aguzzino di metterti in trappola, in modo da non cadere in futuro in altre storie di violenza.

Da quello che dici sembrerebbe che le vittime abbiano una certa predisposizione a relazionarsi con uomini violenti. È davvero così? Ci sono donne più in pericolo di altre?

Qualsiasi donna, anche quella più sicura e ribelle può incappare in un rapporto violento. Ma certamente esistono dei tratti che i carnefici prediligono. Le prede non gli capitano, le scelgono.

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E in base a cosa le scelgono?

Devono essere persone empatiche, responsabili e portate per natura al senso di colpa. Manipolare una donna simile è certamente più facile che farlo su una scapestrata, che non si fa mai un esame di coscienza.

Quindi per evitare storie di abusi dobbiamo diventare superficiali, irresponsabili e incoscienti?

Assolutamente no. La più grande vittoria sulle violenze è uscirne con la parte sacra di noi che è rimasta inalterata. Le ferite restano e questo è certo. Un poco si cambia. Ma vincere la violenza significa continuare a sognare, amare e credere nel prossimo.

Oltre a questi tratti, cosa attira i vampiri?

Viene spontaneo rispondere il sangue, ossia i punti in cui siamo più vulnerabili. In fondo tutti gli esseri umani, chi più chi meno, presentano delle fragilità. Ma le vittime scelte dagli aguzzini hanno condizioni di vita più appetibili: solitamente molto più giovani di loro e quindi più ingenue, un quadro difficile di quotidianità o una situazione familiare turbata. Spesso si tratta di donne che escono da precedenti delusioni di amore o con una figura paterna assente (a causa di separazioni, morti etc.). Il consiglio che posso dare è quello di non mostrare mai le vostre sofferenze e ferite nella fase della conoscenza di un uomo. Prima di aprirvi, siate certe di potervi fidare.

Quanto i modelli familiari del tuo nucleo di origine hanno influito sulla scelta di questo partner?

Sicuramente in un’alta percentuale. Vengo da una famiglia tradizionale, fondata su alcuni valori etici e sull’idea che la donna sia in una condizione subalterna all’uomo per forza e coraggio. Mia madre è sempre stata una persona remissiva, attaccata alla figura-guida di mio padre. Anche io pensavo di essere una donna simile ed ero convinta che la forza morale e il coraggio fossero prerogative degli uomini, senza accorgermi di essere invece una leonessa e una guerriera per natura. Per questo cercavo un compagno stabile, capace di guidarmi e verso il quale ho iniziato subito a pormi come colei che andava difesa e tenuta per mano. Nulla di più avvincente per un narcisista perverso maligno: anziché difendermi, mi ha stritolata e quella mano che doveva sorreggermi, si è stretta in un pugno dal quale è stato un miracolo esserne venuta fuori.

Chi è Agnese oggi?

È finalmente sé stessa. Le violenze hanno permesso di scoprire una parte di me che altrimenti non avrei mai conosciuto.

Come si esce dalla violenza?

Bisogna combattere su tre fronti: contro il carnefice, contro un sistema che non difende le vittime e soprattutto contro le proprie paure. La battaglia con sé stesse è sempre la più difficile…

Capita mai di guardarti indietro? Se sì, cosa pensi?

Certamente. Quando ripenso all’Agnese, inerme e immobile davanti alla più banale scelta, mi chiedo con un sorriso: “ma davvero ero io?” Se invece guardo a colei che ha combattuto senza tregua e lottato infinitamente per i suoi diritti (con la Polizia, con i Carabinieri, con gli Avvocati, con le Assistenti sociali etc.), provo stupore e ancora mi chiedo: “davvero ero io?” Sì, sono stata entrambe quelle facce, con la differenza che delle due, la prima mi era stata messa addosso con la violenza da un soggetto malato e la seconda invece mi appartiene veramente.

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Ringraziamo Agnese per la sua disponibilità. Continueremo nei prossimi articoli ad analizzare a fondo il complesso fenomeno della violenza psicologica, attraverso la sua cristallina testimonianza.

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